La Banca è obbligata a concedere il prestito se sussiste la garanzia prevista dal Fondo Centrale? [< 30.000€]
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Decreto Cura Italia (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. l. 24 aprile 2020, n. 27), per come modificate e integrate dal successivo decreto Liquidità (d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. l. 5 giugno 2020, n. 40), là dove si prevede che gli enti autorizzati all’esercizio del credito si avvalgano della garanzia concessa dal Fondo centrale per le PMI, agevolando l’accesso alla liquidità da parte di soggetti (imprese o anche persone fisiche che esercitano attività di impresa, arti o professioni) che attestino di essere stati danneggiati dalla pandemia.
L’esame delle applicazioni della normativa emergenziale da parte delle banche ha portato ad individuare 3 diverse fattispecie di mancata concessione del credito: (sotto i 30.000,00€)
- La Banca non lo concede ha seguito dell’esame della valutazione (istruttoria) del merito creditizio.
- La Banca non lo concede perché a fronte di elementi di solvibilità del richiedente, la Policy interna dell’intermediario suggerisce all’intermediario di non concedere il credito.
- La Banca commette un errore di valutazione nella valutazione del merito creditizio.
Come è facile intuire la risposta non potrà essere univoca, così come non potrà ritenersi paritetico l’eventuale misura del risarcimento del danno qualora si ravveda una responsabilità della banca.
Sul territorio nazionale non sono mancati provvedimenti di tutela di emergenza con l’accoglimento del ricorso ex art . 700 c.p.c. (la banca condannata a rilasciare il prestito), ma tali decisioni sono altresì state oggetto di critica e non mancano provvedimenti di segno opposto.
L’esame dell’interprete dovrà dunque tenere distinte le tre differenti casistica sopra richiamate e fare ricorso essenzialmente ai criteri generali di responsabilità precontrattuale, adattati alla tipica attività svolta dall’istituto creditidizio, facendo dunque ricorso essenzialmente ai criteri di buona fede e dligilenza dell’operatore professionale all’amante qualificato che opera in un area denotata da interessi generali oltre che particolari della singola impresa, così come indicato dalla normativa di emergenza.
Si riporta di seguido alcune applicazioni pratiche di quanto sopra raccontato
Inesistenza di un diritto al credito vs sindacabilità del rifiuto di erogare. La valutazione della condotta della banca secondo i canoni della correttezza e della buona fede Trib. Napoli, ordinanza 5 agosto 2020, in Riv. trim. dir. ec., 2020, n. 3, II, 124, che ha rigettato la richiesta di concessione in via d’urgenza del finanziamento coperto da garanzia pubblica, rilevando sia l’assenza di un pericolo imminente (stante la possibilità per il ricorrente di rivolgersi ad altre banche, ai fini dell’erogazione di analogo prestito), sia, più in generale, la mancata deduzione e prova in ordine all’esistenza di un pregiudizio concreto e irreparabile, diverso da quello meramente patrimoniale (come tale suscettibile di pieno ed integrale ristoro e, quindi, concettualmente non irreparabile). D’altra parte, già da tempo la giurisprudenza ammette il provvedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. a tutela di crediti pecuniari (ad es., quelli di lavoro), solo là dove lo stesso sia funzionale alla salvaguardia di situazioni giuridiche soggettive indissolubilmente correlate alla situazione patrimoniale, che potrebbero essere pregiudicate in via definitiva dal ritardo nella soddisfazione del credito (Trib. Torino, ordinanza 10 ottobre 2019).
Nella specie, pertanto, risulterebbero certamente censurabili, in quanto indicative di una sleale conduzione della fase pre- negoziale, la mancata (o tardiva) informativa al cliente circa l’esito negativo dell’istruttoria, un diniego di credito che risultasse del tutto sprovvisto di motivazione (o, allo stesso modo, sorretto da una accogliere la richiesta di credito
In questa logica, dunque, il sindacato sulla condotta motivazione palesemente carente o meramente formale), in termini più generali, il mancato perfezionamento, per fatto dell’operatore professionale, delle trattative avviate per la stipula del contratto di prestito (quanto meno, come tradizionalmente insegna la giurisprudenza di legittimità, ove le stesse fossero giunte ad uno stadio tale da ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, un ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto. Tutti comportamenti che, oltre a mortificare quel principio generale di trasparenza cui devono conformarsi i rapporti tra ceto bancario e clientela (per tale intendendosi, com’è noto, anche quella potenziale, che sia entrata in contatto con la sfera professionale dell’intermediario), contrastano con i canoni generali della correttezza e della buona fede, per come applicabili anche nella fase che precede la stipula dell’accordo.
Banca d’Italia, Comunicazione del 22 ottobre 2007, in Bollettino di Vigilanza n. 10/2007. Al riguardo, rileva altresì il Protocollo d’intesa tra l’ABI e le associazioni di rappresentanza delle imprese del maggio 2018, secondo il quale la banca, dietro apposita richiesta scritta, deve fornire all’impresa riscontro, al più tardi entro 30 giorni lavorativi, circa le ragioni del mancato accoglimento della richiesta di finanziamento, onde consentire all’impresa stessa di acquisire maggiore consapevolezza su eventuali aree di miglioramento. Il Protocollo precisa, peraltro, che il riscontro fornito dalla banca non può essere oggetto di contestazione, o motivo per entrare nel merito della decisione assunta in ordine alla richiesta di finanziamento.
Sul grado di analiticità delle motivazioni del provvedimento di diniego si è espresso il Collegio di coordinamento dell’ABF nella già citata decisione n. 6182/13, stabilendo che il cliente ha diritto di ricevere «indicazioni, anche se di carattere generale (in quanto applicazione di criteri elaborati per la generalità della clientela), ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali».
Cass., 29 marzo 2007, n. 7768; Cass., 26 febbraio 2013, n. 4802; Cass., 14 marzo 2017, n. 6587: ragionevole affidamento circa la conclusione del contrattoLa responsabilità da contatto sociale qualificato della banca è stata affermata, in giurisprudenza, con riferimento alle ipotesi di pagamento di assegno non trasferibile a soggetto diverso dall’avente diritto: Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477 e Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712
Non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata la lesione dei diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale; pertanto, in caso di lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile è unicamente quello consistente nelle spese derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza di altre occasioni contrattuali perdute (cfr. Cass., 10 giugno 2005, n. 12313; Cass., 3 dicembre 2015, n. 24625)
La responsabilità da contatto sociale qualificato della banca è stata affermata, in giurisprudenza, con riferimento alle ipotesi di pagamento di assegno non trasferibile a soggetto diverso dall’avente diritto: Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477 e Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712