(in separato giudizio, condannato anche il medico omeopata in concorso per non aver impedito l’evento morte)
Il comportamento tenuto dal medico omeopata di fiducia, per quanto certamente inadeguato e carente rispetto alla situazione sanitaria del bambino, non ha introdotto nessun rischio nuovo, essendovi stata – sia pur nella fiducia in lui costantemente riversata – un’indubbia consapevolezza da parte dei genitori della sua condotta inadeguata
Cass. pen., sez. IV, ud. 3 maggio (dep. 29 agosto 2023), n. 35895
Colpevoli di omicidio colposo i due genitori che, seguendo pedissequamente le inadeguate indicazioni offerte dal medico omeopata di loro fiducia, non hanno curato con l’antibiotico l’otite che per un mese ha tormentato il figlioletto e ne ha poi causato la morte.
Ricostruita la drammatica vicenda, collocata nel maggio del 2017, i giudici di merito hanno ritenuto evidente la colpevolezza dei due genitori sotto processo e li condannano alla pena di tre mesi di reclusione per «per non avere, in cooperazione colposa tra loro e con un medico omeopata – giudicato separatamente -, impedito il decesso del figlioletto».
Nello specifico, madre e padre sono ritenuti «responsabili di avere omesso – dal 7 al 23 maggio 2017 -, in qualità di genitori del minore poi deceduto, pur a fronte di un quadro clinico sintomatologico di un’otite media acuta e del suo aggravamento (dolore dapprima all’orecchio destro e poi a quello sinistro, con fuoriuscita abbondante di liquido da entrambe le orecchie; rialzi febbrili fino a 39,5°; cefalea, irritabilità, dimagrimento e apatia) e della palese inefficacia della terapia omeopatica prescritta dal medico, di consultare la pediatra del bambino ovvero di rivolgersi ad un medico specialista in otorinolaringoiatria o a una struttura ospedaliera, somministrando al minore solo i medicinali omeopatici indicati dal medico».
Impossibile sostenere che il decesso del bambino sia stato «conseguenza di un errore medico, in nessun modo imputabile ai genitori, rivoltisi ad un valido professionista ed avendo sempre rispettato le prescrizioni impartite dal medico».
I Giudici di Cassazione sottolineano la possibilità per i genitori «di accorgersi della gravità della malattia e dei conseguenti pericoli ad essa correlati» già dieci giorni prima della morte del figlioletto. Se, dieci giorni prima del decesso, «la terapia di antibiotici fosse inziata, con elevata probabilità si sarebbe ridotta l’entità lesiva o addirittura risolto l’episodio otitico, con conseguente esclusione della verificazione dell’evento mortale». E ciò sarebbe potuto avvenire anche perché i genitori del bambino «avrebbero potuto percepire la situazione di pericolo, sussistendo un quadro clinico caratterizzato da evidenti e gravi segni di peggioramento».
Invece, i due genitori continuarono la terapia omeopatica, evitando di contattare il pediatra, che avrebbe sicuramente detto loro di dare l’antibiotico al bambino per curare l’otite. Congruamente, dunque, è stato ritenuto che la condotta omissiva tenuta dai genitori abbia contribuito concausalmente alla morte del figlioletto, atteso che «sarebbe stato sufficiente recarsi in ospedale ovvero rivolgersi ad uno specialista otorinolaringoiatra o al pediatra — come avvenuto in passato per identiche otiti sofferte dal bambino, tutte curate con somministrazione di antibiotici — per evitare la realizzazione dell’evento letale». E, non a caso, la madre del bambino ha riconosciuto che «ove si fosse rivolta al pediatra, questo le avrebbe certamente impartito la cura antibiotica, come da lei, invece, in quel momento non voluto».
I Giudici aggiungono che, essendo la somministrazione dell’antibiotico la cura salvifica per il minore, essa costituiva l’attività dovuta da parte del medico, ma spettava ai genitori, all’evidenza privi di cognizioni scientifiche «l’univoco compito di far somministrare tale terapia al figlio, anche mediante il ricorso a sanitari diversi dal medico di fiducia» che gli aveva esplicitamente detto di non fare ricorso all’antibiotico.
In conclusione, «il comportamento tenuto dal medico, per quanto certamente inadeguato e carente rispetto alla situazione sanitaria del bambino, non ha introdotto nessun rischio nuovo o esorbitante, essendovi stata – sia pur nella fiducia in lui costantemente riversata – un’indubbia consapevolezza da parte dei genitori della sua condotta inadeguata, tanto da aver più volto espresso dubbi sulla bontà delle indicazioni sanitarie impartite e sulla credibilità delle continue rassicurazioni ricevute, che, fino a quattro giorni prima della morte del bambino, avevano escluso la ricorrenza di una qualsiasi complicazione seria».
Avv. Francesco Querci